Considerato il momento con tante attività chiuse ci pervengono richieste di associati e non che si domandano cosa sarà dei canoni di locazione commerciale che maturano in tempi di Corona virus quando, per ordine del Governo o comunque a livello locale (è fresca in Lombardia l’ordinanza del presidente regionale Avv. Attilio Fontana restrittiva dell’ultimo decreto Conte), i locali oggetto di contratto non possono essere utilizzati dai conduttori o nel migliore dei casi, utilizzati solo in parte.
In molti casi gli interessati hanno già avanzato istanza di poter ridurre/sospendere i pagamenti sino a quando la situazione non si sarà risolta.
Di qui il legittimo dubbio di taluni nostri associati, ma più in generale dei locatori di immobili commerciali, di come comportarsi al riguardo.
Cominciamo col dire che l’istanza dei conduttori trova certamente più di un fondamento nelle norme di legge.

I) L’art. 1258 c.c. stabilisce che il debitore (nello specifico il conduttore che deve corrispondere il canone), se la prestazione è divenuta impossibile, si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile dal che deriva che, in situazioni come quelle che stiamo vivendo, potremmo anche assistere al tentativo estremo di taluni conduttori di non pagare alcunché sull’assunto che la pandemia, con i provvedimenti adottati dall’autorità per arginarla, hanno impedito l’esercizio in toto dell’attività presso i locali oggetto del contratto.

II) Ulteriormente l’art. 1464 c.c. prevede la possibilità, nei contratti a prestazioni corrispettive, della riduzione della prestazione (nel caso del canone) quando la controprestazione (la disponibilità dei locali) è divenuta solo parzialmente impossibile, ferma restando, addirittura, la possibilità di recedere dal contratto se non residua un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.

III) Sempre in tema di norme sui contratti a prestazioni corrispettive, l’art.1467 c.c. stabilisce che in quelli a esecuzione continuata o periodica, (com’è il contratto di locazione commerciale), se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto. La richiesta non può essere tuttavia proposta se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto e comunque, una volta avanzata, l’altra parte ha la possibilità di evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del rapporto.

IV) Un’ipotesi che pare residuale così come peraltro quella prevista dalla seconda parte dell’art. 1464 c.c. (recesso dal contratto per carenza di interesse a proseguirvi) è quella, derivante dall’applicazione dell’art. 27 della legge 392/1978 che consente, sempre al conduttore, il recesso con preavviso di sei mesi per gravi motivi. Questa soluzione presuppone, evidentemente, la decisione di cessare l’attività ed idem dicasi per il recesso per carenza di interesse alla fruizione parziale previsto dalla seconda parte del già richiamato art. 1464 c.c. Non molto diversa è la situazione che ci si trova a gestire ove venga invocato l’art. 1467 c.c. (prestazione divenuta troppo gravosa) ma in tal caso la risoluzione del conduttore può sempre essere paralizzata da una spontanea reductio ad equitatem da parte del proprietario locatore.

In tale contesto normativo, lasciando per un momento da parte la disamina dei precedenti giurisprudenziali in qualche caso di segno contrastante, il nostro consiglio ai proprietari è quello di non assumere atteggiamenti rigidi di partenza e di provare ad intavolare proficue trattative per trovare una soluzione di contemperamento dei reciproci interessi.

Ciò anche in relazione ai tempi processuali di un’eventuale azione di sfratto/risoluzione del contratto per inadempimento che, pur entrambe astrattamente possibili, si scontrerebbero con le pastoie giudiziarie e soprattutto col probabile atteggiamento dei magistrati chiamati a decidere del caso che, facilmente, sarebbero ben disponibili ad accogliere difese dei conduttori basate sull’effettiva (e facilmente dimostrabile) impossibilità di regolarmente adempiere per effetto dell’epidemia.

Tengasi altresì conto che la materia locatizia è tra quelle per le quali è obbligatorio far ricorso alla mediazione, (re)introdotta nel nostro ordinamento dal D.L. 69/2013, ragion per cui anche a voler tutelare “con le cattive” le ragioni dei proprietari/locatori ci si troverebbe a fare i conti, col ricorso necessariamente preventivo (la mediazione è condizione di procedibilità della successiva azione giudiziaria) a tale istituto che prevede la possibilità di porre fine anticipatamente ad un conflitto prescindendo, per i più tecnici è cosa nota, da discussioni di stretto diritto non ammissibili nello specifico ambito.

Concludiamo rammentando che è stato ritenuto a più riprese ammissibile, in corso di locazione, ricorrere ad una riduzione (temporanea o definitiva lo stabiliscono le parti) del canone senza necessità di stipula di un nuovo rapporto e quindi senza tangere la durata dello stesso come stabilita inizialmente. Tale è accordo è bene che sia registrato perchè, con tale adempimento, il locatore potrà dichiarare il relativo reddito (e poi pagare le tasse) su quanto effettivamente percepito e non sui valori di canone del contratto originario.Al contempo i conduttori interessati a beneficiare degli sgravi fiscali sul pagamento del canone, quali introdotti dai recenti provvedimenti d’urgenza, dovranno dare atto per tempo dell’intervenuta riduzione agli uffici preposti e così ottenere lo sgravio solo su quanto effettivamente pagato al proprietario e non sul valore del canone originario.

Avv. Arnaldo Cogni (Presidente APPC Milano Scarlatti)